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sabato 22 novembre 2025

Quando l'aula diventa un paesaggio di apprendimento

 
Immaginate di entrare in una scuola dove i corridoi non sono più semplici passaggi anonimi tra una lezione e l'altra, ma luoghi vivi dove studiare, confrontarsi, scoprire. Dove le scale diventano anfiteatri naturali per presentazioni spontanee e gli angoli nascosti sotto di esse si trasformano in nicchie raccolte per la lettura. Dove l'aula tradizionale, con i suoi banchi in fila rivolti verso la cattedra, cede il posto a spazi flessibili che si riconfigurano a seconda dell'attività: a isole per il lavoro cooperativo, a ferro di cavallo per il dibattito, ad anfiteatro per le presentazioni.
Non è una visione utopica, ma una necessità pedagogica sempre più urgente. Le ricerche dimostrano che l'ambiente di apprendimento può incidere fino all'80% sul rendimento degli studenti e sulla motivazione dei docenti. L'aula tradizionale, quel modello che l'educatore David Thornburg fa risalire addirittura al 1300, non risponde più alle esigenze di una didattica attiva, collaborativa e centrata sullo studente. È tempo di ripensare radicalmente gli spazi in cui insegniamo e in cui i nostri studenti apprendono.
Il cambiamento parte da una domanda fondamentale: la nostra scuola è un ambiente pensato per insegnare o un ambiente ripensato per apprendere? La differenza non è solo semantica. Il primo modello colloca il docente al centro, in una posizione di trasmissione verticale del sapere. Il secondo riconosce che l'apprendimento è un processo attivo, sociale e distribuito, che può avvenire ovunque nell'edificio scolastico.
È qui che entra in gioco il concetto di "Learning Landscape", il paesaggio di apprendimento teorizzato dall'architetto olandese Herman Hertzberger. Questa visione supera la rigida separazione tra aule e spazi comuni, considerando l'intero edificio come un ecosistema integrato e permeabile. La scuola diventa simile a una città: con le sue "strade" (i corridoi), le sue "piazze" (le aree comuni), i suoi angoli intimi e i suoi luoghi di incontro, tutti progettati per favorire contatti, confronti ed esperienze significative.
Hertzberger descrive questa trasformazione attraverso quattro fasi progressive. Si parte dall'arricchimento dell'aula tradizionale con angoli e nicchie, si passa all'attivazione dello spazio-soglia tra classe e corridoio, si arriva a concepire l'aula come "home base" da cui partire per attività distribuite in tutto l'edificio, fino alla dissoluzione completa dell'aula tradizionale in favore di un vero paesaggio didattico multiforme.




Partiamo dal cuore della questione: la nostra aula. Non si tratta di sostituire semplicemente i vecchi banchi con arredi più moderni, ma di ripensare radicalmente la funzione dello spazio. L'aula flessibile è un ambiente operativo riconfigurabile, dove la disposizione degli arredi diventa essa stessa uno strumento pedagogico che definisce relazioni e modalità di lavoro.

Pensate a quanto cambia la dinamica didattica quando passiamo dalla disposizione "a platea" – ideale per la lezione frontale ma che scoraggia l'interazione tra studenti – a quella "a isole", perfetta per il lavoro collaborativo ma inadatta alla spiegazione frontale. O considerate il setting "a ferro di cavallo", che favorisce il dibattito permettendo a tutti di guardarsi, ma che crea problemi di visione laterale e di illuminazione. Ogni configurazione ha i suoi vantaggi e i suoi limiti, e la vera flessibilità consiste nel poter scegliere, di volta in volta, quella più adeguata all'obiettivo didattico.

La tecnologia gioca qui un ruolo di mediatore strategico. La LIM, i tablet, i PC non sono semplici strumenti da aggiungere all'aula tradizionale, ma catalizzatori di un cambiamento più profondo. Come afferma David Thornburg, il vero potere della tecnologia emerge quando la usiamo per fare cose che non potevamo fare prima. Liberati dal compito di trasmettere informazioni – funzione che oggi può essere assolta da un motore di ricerca – noi docenti possiamo finalmente concentrarci sul nostro ruolo di facilitatori, registi dell'apprendimento, costruttori di comprensione.



Quante volte abbiamo percepito il corridoio come uno spazio "punitivo", un luogo di transito anonimo e privo di significato? Eppure, se ci pensiamo, i corridoi rappresentano una quota significativa della superficie scolastica. Trasformarli in arterie vitali dello spazio di apprendimento può avere un impatto trasformativo sull'intera cultura della scuola.

I corridoi possono diventare zone di lavoro e relax, con nicchie e sedute che invitano alla sosta e al lavoro individuale o in piccolo gruppo. Possono ospitare spazi assembleari per incontri informali e presentazioni. Possono accogliere attività didattiche specifiche, come i percorsi motori realizzati a pavimento per stimolare la coordinazione e la percezione corporea. Possono diventare luoghi di supporto e tutoraggio, come nel progetto "Educatore di Corridoio", pensato per prevenire la dispersione scolastica e favorire il benessere relazionale.

L'esempio della scuola "Erika Mann" di Berlino è illuminante: un intervento mirato su colore, luce e arredi ha trasformato i corridoi in "ambienti da fiaba", potenziando la cultura dell'apprendimento in tutto l'istituto. Non parliamo di decorazione superficiale, ma di una riqualificazione funzionale che ha cambiato il modo in cui studenti e docenti vivono la scuola.

Il principio di Hertzberger è chiaro: ogni elemento architettonico, anche quello apparentemente secondario, può diventare un'opportunità di apprendimento e socializzazione. Le scalinate, ad esempio, non devono più essere elementi di servizio da nascondere, ma strutture ampie e visibili che diventano luoghi ideali per incontri informali, performance e micro-ambienti di lavoro. I sottoscala, generalmente scomodi e inutilizzati, possono trasformarsi in angoli intimi per la lettura o la concentrazione individuale, abbassando il livello del pavimento per creare aree protette e accoglienti.

Anche le pareti possono superare la loro funzione bidimensionale per diventare elementi architettonici attivi, integrando armadiature, nicchie di studio, piani di lavoro e vetrine. È quello che Hertzberger chiama "cupboardness": la capacità dello spazio di dare un posto a persone e cose, di accogliere e contenere senza ingabbiare.

E non dimentichiamo il pavimento, specialmente nelle scuole primarie. Dislivelli e rialzi graduati creano sedute informali, aree di gioco e piani d'appoggio, riconoscendo l'abitudine naturale dei bambini a vivere lo spazio a terra, a costruire il loro rapporto con il mondo a partire da quella dimensione.

Se tecnologia e arredi sono gli elementi più visibili della trasformazione, luce e colore ne sono i protagonisti silenziosi ma fondamentali. Una corretta illuminazione non è un dettaglio tecnico, ma un fattore cruciale per il comfort visivo, il benessere psico-fisico e la capacità di concentrazione. Per questo motivo, la progettazione illuminotecnica dovrebbe sempre essere affidata a specialisti.

La luce naturale è insostituibile: garantisce il miglior benessere, scandisce il ritmo biologico e migliora rendimento e concentrazione. Il progetto deve sfruttarla al massimo, evitando però l'abbagliamento e i riflessi molesti su lavagne e schermi. L'illuminazione artificiale deve essere flessibile, adattarsi ai diversi setting d'aula, permettere la regolazione dell'intensità. L'uso strategico dell'illuminazione d'accento può creare gerarchie visive, mettendo in risalto aree specifiche e aggiungendo profondità e dinamismo allo spazio.

Anche il colore è uno strumento di progettazione potente, capace di condizionare l'umore, facilitare la socializzazione, migliorare la concentrazione. La scelta non deve essere casuale ma funzionale. L'arancione all'ingresso induce serenità ed entusiasmo, facilitando il passaggio dalla realtà familiare a quella scolastica. I colori freddi nei corridoi danno tranquillità e allargano psicologicamente gli spazi. Il giallo chiaro in aula stimola l'attività mentale e le capacità logiche, mentre il verde favorisce riflessione e calma. Il blu indaco negli spazi di lettura aiuta la concentrazione. E lasciare alcune pareti a disposizione della creatività degli studenti favorisce la personalizzazione e l'appropriazione degli spazi, facendoli sentire parte integrante della loro "casa gioiosa".

Tutto questo potrebbe sembrare teorico o inaccessibile, ma non lo è. Le nuove Linee Guida ministeriali per l'edilizia scolastica hanno adottato una logica "prestazionale", superando l'approccio prescrittivo rigido del passato. Non impongono soluzioni standard, ma definiscono le prestazioni che gli spazi devono garantire, valorizzando flessibilità e adattabilità. E soprattutto, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha stanziato fondi significativi per la trasformazione degli ambienti di apprendimento attraverso l'azione "Next generation classroom" del Piano Scuola 4.0.

Ci sono già scuole che hanno fatto questo percorso con successo. All'Istituto Superiore "Fermi" di Mantova, le aule sono concepite come "studi professionali disciplinari" e sono gli studenti a spostarsi tra un'ora e l'altra, non i docenti. Questo modello valorizza il movimento – che studi neuroscientifici dimostrano influenzare positivamente la concentrazione – e favorisce la collaborazione tra docenti della stessa disciplina. Il Montessori College Oost di Amsterdam, progettato da Hertzberger, con i suoi "work balconies" dimostra come lo spazio di raccordo possa diventare un'estensione dell'aula, offrendo nicchie che bilanciano concentrazione e senso di comunità.



Loris Malaguzzi parlava dell'ambiente come del "terzo educatore", dopo l'adulto e il gruppo dei pari. Aveva ragione. L'ambiente fisico non è un semplice sfondo dell'azione educativa, ma un potente strumento in grado di abilitare o inibire pratiche didattiche, di influenzare il benessere di chi lo abita, di modellare comportamenti e identità.

Come docenti, spesso ci sentiamo impotenti di fronte all'architettura scolastica, convinti che sia qualcosa di dato, immutabile. Ma non è così. Possiamo essere promotori del cambiamento, interlocutori consapevoli nei processi di riqualificazione, utilizzatori creativi degli spazi esistenti. Possiamo iniziare a sperimentare configurazioni diverse dell'aula, a rivendicare l'uso didattico dei corridoi, a valorizzare gli angoli "dimenticati" dell'edificio.

L'obiettivo finale non è creare scuole più belle esteticamente, ma ambienti che favoriscano lo "star bene a scuola": luoghi che offrano protezione, coinvolgimento e appartenenza, che rafforzino l'identità degli studenti e li rendano protagonisti attivi del proprio percorso formativo. Perché ogni studente merita di apprendere in uno spazio che lo accolga, lo valorizzi e lo faccia sentire a casa.









sabato 15 novembre 2025

Non la solita Odissea: insegnare l'empatia con l'Intelligenza Artificiale

 
Ricordate le ore passate sui banchi di scuola a studiare l'Odissea? Epiteti, proemi, figure mitologiche che sembravano lontane, quasi polverose. Ora, immaginate di prendere quel poema epico e trasformarlo in uno strumento per capire le migrazioni di oggi, per esplorare la vostra identità e per imparare a raccontare storie con l'intelligenza artificiale. È esattamente quello che succede nel progetto “Il ritorno di Ulisse”, un percorso educativo che trasforma l’antica epopea in una lente d'ingrandimento puntata sul nostro mondo. Cosa succede quando un eroe di 3000 anni fa inizia a parlare la nostra lingua, attraverso la tecnologia che usiamo ogni giorno? Scopriamo insieme le quattro lezioni più sorprendenti emerse da questo esperimento unico.




 I Takeaway Più Sorprendenti

Primo: Ulisse non è (solo) un eroe, è il primo dei migranti

Il vero colpo di genio del progetto è il suo cambio di prospettiva. L’analisi non si ferma all’eroe astuto e coraggioso, ma scava più a fondo, presentando Ulisse come “viaggiatore, migrante, sopravvissuto, uomo tra nostalgia e desiderio”. Per rendere questo concetto un'esperienza vissuta, gli studenti non si limitano a guardare delle foto: entrano in una “galleria di immagini” allestita in classe. Durante una camminata silenziosa, osservano immagini a confronto: le fotografie dell'Afghanistan negli anni '60, pieno di vita, e le immagini di oggi, segnate dalla guerra; accanto, le foto dei barconi carichi di migranti. Guidati dal metodo "SEE-THINK-WONDER", questo parallelo visivo tra il viaggio di Ulisse e le tragedie contemporanee costruisce una consapevolezza storica e, soprattutto, un’empatia profonda. Ma come trasformare questa nuova empatia in un dialogo attivo? La risposta sta in un'inaspettata conversazione con il passato.

Secondo: Si può dialogare con il passato (grazie a un chatbot)

In questo laboratorio, gli studenti non si limitano a leggere del mito: lo interrogano. Durante l'attività "Dialogo con il mito", ogni gruppo prepara una serie di domande per un personaggio specifico – Ulisse, Penelope, Calipso, Polifemo – per scoprirne desideri, paure e motivazioni. L'innovazione sta nel "come" avviene il dialogo: il docente proietta un chatbot su una lavagna interattiva multimediale (LIM) e, facendosi operatore, permette agli studenti di "intervistare" pubblicamente il personaggio. L'attività diventa un evento collaborativo, non un'interazione privata. Questo metodo trasforma l'apprendimento da passivo ad attivo, costringendo a pensare criticamente a come porre le domande per svelare l'umanità, le contraddizioni e la modernità nascoste dietro figure millenarie. È l’incarnazione perfetta dello scopo del progetto:

Intrecciare mito e realtà, immaginazione e attualità, attraverso il tema universale del viaggio.

Terzo: La tecnologia non è la materia, ma il linguaggio

Il progetto insegna che la tecnologia non è un fine, ma un insieme di nuovi linguaggi per esprimersi. Nel laboratorio di "Visual storytelling con IA", gli studenti non usano semplicemente un generatore di immagini, ma imparano a diventare direttori artistici. Vanno oltre le richieste semplici per scrivere prompt dettagliati che specificano soggetto, azione, atmosfera e persino stile artistico, dando vita a un "museo" di opere uniche. Ma la padronanza espressiva non si ferma al visivo. Gli studenti acquisiscono fluidità in un intero ecosistema comunicativo: danno voce alle loro storie creando un "Podcast mitologico", si cimentano nel "Public Speaking" interpretando il discorso di un eroe e persino nel songwriting, componendo canzoni che legano il mito all'attualità. L’insegnamento più grande è che l'IA, la produzione audio e la performance orale non sono solo competenze tecniche, ma strumenti espressivi potenti con cui reinterpretare temi senza tempo per una nuova generazione.

Quarto: Il vero viaggio è la trasformazione personale

La struttura stessa del corso è un viaggio. Il primo incontro si apre con una domanda fondamentale: "Perché si viaggia?". Gli studenti rispondono creando una mappa concettuale a forma di "albero": le "radici" rappresentano le cause profonde del partire (guerra, povertà, amore, curiosità), mentre i "rami" simboleggiano le speranze (libertà, salvezza, casa, conoscenza). Dieci incontri dopo, nell'attività conclusiva "reloaded", la stessa domanda viene riproposta. La risposta, questa volta, è diversa, arricchita da tutto il percorso fatto. Questo processo di crescita viene documentato in un prodotto finale che è molto più di una raccolta di lavori. Non è una semplice cartellina, ma un "Diario di Bordo" meticolosamente strutturato: un journal guidato dove ogni attività, dalla mappa-albero iniziale agli script dei podcast e alle riflessioni finali, viene documentata e analizzata. Qui sta il vero obiettivo: la creazione di artefatti è il mezzo, ma il fine ultimo è la trasformazione "personale e consapevole" degli studenti e del loro modo di guardare a sé stessi e al mondo.

Conclusione: uno sguardo al futuro

“Il ritorno di Ulisse” è molto più di un progetto scolastico. È un modello potente di come l'educazione possa e debba costruire ponti: tra passato e presente, tra discipline umanistiche e tecnologia, tra apprendimento e sviluppo dell'empatia. Insegna che le storie antiche non sono reliquie da conservare in un museo, ma bussole per orientarci nella complessità del nostro tempo. E questo ci lascia con una domanda fondamentale. Se un poema antico può insegnarci tanto sul nostro presente, quante altre chiavi di lettura per il futuro si nascondono nelle storie che pensavamo di conoscere già?