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domenica 25 maggio 2025

Scoprire l’Intelligenza Artificiale nella Scuola Primaria: Due App Educative per Piccoli Creatori di Prompt

Viviamo in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale sta trasformando il modo in cui apprendiamo, comunichiamo, creiamo e lavoriamo. È sempre più evidente quanto sia importante educare fin da piccoli a un uso consapevole e responsabile dell’IA. Non si tratta solo di preparare gli studenti al futuro, ma di offrire loro strumenti per potenziare il presente, stimolando la creatività, il pensiero critico e la capacità di risolvere problemi.

Per i bambini della scuola primaria, l’IA può essere vista non come qualcosa di distante o complesso, ma come un alleato del loro apprendimento. Se presentata nel modo giusto, può diventare un mezzo attraverso cui esplorare la scrittura, l’arte, la fantasia e l’organizzazione delle idee.

In quest’ottica, sono nate due app didattiche, realizzate con Canva, che offrono un primo contatto giocoso ma formativo con l’intelligenza artificiale. L’obiettivo non è solo “usare” l’IA, ma capire come dialogare con essa, partendo da uno degli elementi chiave: il prompt, ovvero la richiesta scritta che si invia al sistema.

Le app sono pensate per accompagnare gli alunni nella costruzione di prompt efficaci e significativi, sia per generare immagini che per creare storie

Vediamole nel dettaglio:


Creatore di Prompt Magici

Impara a creare prompt fantastici per generare immagini con l'intelligenza artificiale!

Questa app introduce i bambini al mondo della generazione di immagini AI, aiutandoli a capire come le parole possano dare vita a creazioni visive sorprendenti.

Cosa imparano i bambini:

  • Che cos’è un prompt e perché è importante.

  • Come strutturare un prompt descrittivo ed efficace.

  • A scegliere parole precise per ottenere risultati visivi coerenti.

  • A riflettere sul rapporto tra linguaggio e immagine.

Come funziona:
In un ambiente colorato e interattivo, l’alunno viene guidato nella costruzione del proprio prompt, partendo da elementi fondamentali: chi è il soggetto, cosa sta facendo, dove si trova, in che stile dev’essere l’immagine. Una volta terminato, il prompt può essere copiato e incollato in un generatore di immagini AI, per osservare il risultato e stimolare la discussione.



Costruisci il Prompt per la tua Narrazione

Un viaggio interattivo nella scrittura creativa con l’intelligenza artificiale

La seconda app è pensata per supportare i bambini nella scrittura di racconti, aiutandoli a pianificare le fasi narrative e trasformarle in un prompt che potrà essere usato con strumenti di generazione testuale, come ChatGPT, usato attraverso la mediazione dell'insegnante.

Obiettivi formativi:

  • Comprendere la struttura di una narrazione: personaggi, ambientazione, inizio, problema, soluzione.

  • Organizzare le idee in modo coerente e creativo.

  • Imparare a comunicare in modo chiaro ed efficace con un’intelligenza artificiale.

  • Riflettere sul ruolo dell’IA come strumento a servizio della fantasia, e non come sostituto della mente umana.

Come si sviluppa l’attività:
La app accompagna gli alunni in 5 tappe, ciascuna legata a una componente narrativa. In ogni fase vengono suggeriti esempi, domande guida e spazi per scrivere. Alla fine, le risposte vengono assemblate in un prompt coerente e pronto da utilizzare con un assistente di scrittura. I bambini possono così leggere la storia generata dall’IA, confrontarla con le proprie intenzioni, modificarla o continuarla, in un processo di scrittura dialogico.


Perché introdurre l’IA già nella scuola primaria?

  • Perché educare all’IA significa offrire ai bambini una chiave per leggere e partecipare attivamente al mondo che cambia.
  • Perché l’IA, se usata in modo guidato, può rafforzare le competenze linguistiche, narrative e creative.
  • Perché imparare a dialogare con l’intelligenza artificiale sviluppa capacità di espressione, sintesi e riflessione critica.
  • Perché aiuta gli alunni a vedere la tecnologia come strumento di supporto, non come fine, e a crescere come utilizzatori consapevoli.

Vuoi usare le app nella tua classe?

Le due app sono gratuite, facili da usare, e possono essere integrate in progetti di italiano, arte o educazione civica digitale. 

L’intelligenza artificiale può diventare un ponte tra apprendimento e immaginazione, anche per i più piccoli. Basta partire dal prompt giusto.

lunedì 19 maggio 2025

L’intelligenza artificiale: l’alleata di tutti, nel lavoro e nello studio

 "Come riuscirò mai a leggere e studiare 150 pagine?" si chiede uno studente stressato. "Come potrò leggere tutte queste pagine entro domani?" si domanda un dirigente alle prese con un report urgente. Entrambi, però, arrivano alla stessa conclusione: "Per fortuna posso contare sull’AI!"



Questa semplice scena riflette una realtà sempre più diffusa: l’intelligenza artificiale è diventata una risorsa preziosa per tutti, non solo per chi esegue un compito, ma anche per chi lo supervisiona o lo valuta.

Nel mondo del lavoro odierno, l’AI non è più un accessorio futuristico, ma uno strumento quotidiano. Assiste nella sintesi dei testi, nella gestione delle informazioni, nell’analisi dei dati e persino nella scrittura dei report. Studenti, docenti, impiegati e manager si affidano a essa per affrontare carichi di lavoro sempre più intensi con maggiore efficienza.

L’AI non sostituisce la mente umana, ma la potenzia, permettendoci di concentrarci su ciò che conta davvero: il pensiero critico, la creatività e il valore aggiunto umano.

domenica 18 maggio 2025

Pensare è umano, esprimere è complesso: l’IA come alleata nella mediazione linguistica

 L’intelligenza artificiale generativa, e ChatGPT in particolare, ha suscitato negli ambienti educativi una reazione spesso carica di allarme. Molti docenti, sia nella scuola che nell’università, temono un collasso dei criteri tradizionali di valutazione: l’idea che gli studenti possano presentare testi che non hanno redatto “di loro pugno”, che non siano "farina del loro sacco", viene vissuta come una minaccia diretta all’integrità del lavoro scolastico, alla costruzione del pensiero critico e all’autenticità della produzione intellettuale. Ma dietro questa preoccupazione si cela un fraintendimento profondo: l’identificazione rigida tra pensiero e forma scritta, come se un’idea fosse valida solo se espressa secondo i canoni linguistici stabiliti. In realtà, ciò che chiamiamo “scrittura autonoma” è, da sempre, il risultato di una mediazione complessa tra concetto e codice, tra contenuto e forma, tra intenzione comunicativa e norma linguistica. E in questa dinamica, l’intelligenza artificiale può svolgere un ruolo che somiglia in modo sorprendente a quello svolto dal lavoro di traduzione.

Pensiamo per un momento a cosa avviene quando traduciamo un testo da una lingua a un’altra. Il traduttore non si limita a trasporre le parole, ma deve interpretare il significato, rispettare il tono, conservare le intenzioni dell’autore, adattare strutture e registri per rendere il messaggio comprensibile e pertinente nel nuovo contesto linguistico e culturale. La traduzione è un atto di trasformazione consapevole, che richiede comprensione profonda, sensibilità linguistica e capacità di mediazione. Allo stesso modo, quando uno studente utilizza l’intelligenza artificiale per riformulare un proprio testo o per redigere un elaborato, ciò che avviene – se l’uso è consapevole – è un processo di “traduzione interlinguistica” da una lingua privata e preliminare del pensiero (fatta di appunti, intuizioni, idee orali, frasi imperfette) a una lingua pubblica, strutturata, conforme alle aspettative del contesto scolastico. La differenza consiste essenzialmente in questo: invece che passare da una lingua all’altra, si passa da una forma a un registro, da un livello a un altro di formalizzazione.

Questo processo, come la traduzione propriamente detta, attiva competenze cognitive elevate: l’analisi del testo di partenza, la valutazione dell’efficacia espressiva, la riflessione sui registri e sugli usi linguistici, il controllo del significato, la verifica della coerenza tra intenzione e risultato. Quando si utilizza ChatGPT per affinare la scrittura, non si delega il pensiero alla macchina, ma si esercita la capacità di riconoscere quali elementi linguistici servono a trasmettere meglio un contenuto. Si impara a scegliere, a negoziare, a riscrivere. Si sviluppa cioè una forma di metacompetenza linguistica molto vicina a quella che esercita un buon traduttore: saper essere fedeli all’idea originaria, pur cambiando la sua forma di espressione.

Insegnare a scrivere con l’intelligenza artificiale, allora, non significa abbandonare l’autonomia intellettuale, ma trasformare la scrittura in un laboratorio di riflessione linguistica e argomentativa. In alcune esperienze didattiche, per esempio, si è lavorato con gli studenti sulla riformulazione dei propri testi attraverso ChatGPT. Ma il cuore dell’attività non era l’automatismo dell’output: era l’analisi comparativa tra le versioni, la discussione sul lessico, sulla sintassi, sullo stile, sulla fedeltà al pensiero originario. Gli studenti imparavano a interrogarsi su come e perché certe trasformazioni fossero avvenute, su quali modifiche rafforzassero o alterassero il senso del testo. Il risultato era duplice: da un lato, un miglioramento della qualità formale dell’elaborato; dall’altro, un’accresciuta consapevolezza delle strategie discorsive che rendono un testo efficace in contesto accademico.

Questa riflessione porta a rivedere anche la nozione di “voce autentica”, spesso evocata in modo retorico nei discorsi sull’inclusione. In realtà, l’autenticità viene spesso premiata solo quando si conforma a un modello stilistico prestabilito. In un laboratorio, si è proposto a un gruppo di docenti di leggere due versioni dello stesso abstract: la prima scritta da uno studente, la seconda revisionata con ChatGPT. Quasi tutti erano in grado di riconoscere quale fosse la versione umana, ma la preferenza andava in larga parte alla versione generata con l’IA: più scorrevole, più “accademica”, più aderente ai canoni stilistici riconosciuti. A quel punto, la domanda sorge spontanea: se le idee dell’autore sono valide e originali, perché non dovrebbe avere il diritto di presentarle nella forma che il contesto culturale richiede, anche se con l’aiuto di uno strumento di riformulazione? Non è forse proprio questo il senso di una traduzione ben fatta: dare al pensiero una forma che ne permetta la comprensione e l’accettazione, senza tradirne il nucleo concettuale?

Le implicazioni pedagogiche di questa prospettiva sono profonde. L’intelligenza artificiale può diventare uno strumento di democratizzazione linguistica, soprattutto per studenti che, per ragioni sociali, culturali o cognitive, si trovano ai margini della norma espressiva. Può offrire loro un mezzo per rendere riconoscibili e valutabili i propri contributi, senza dover interiorizzare forzatamente codici comunicativi che non sentono propri. E può farlo non come scorciatoia, ma come occasione di apprendimento attivo, come spazio per sviluppare quella flessibilità linguistica e quella riflessione critica che ogni buon traduttore esercita costantemente.

Perché tutto ciò si realizzi, occorre però ripensare radicalmente l’insegnamento della scrittura. Non più come addestramento alla correttezza formale, ma come educazione alla trasformazione discorsiva. Non più come imitazione di modelli, ma come acquisizione di strumenti per tradurre il proprio pensiero in forme comprensibili e condivisibili. In questo scenario, l’uso dell’intelligenza artificiale nella scrittura non è una minaccia, ma una risorsa potente: un alleato per sviluppare capacità linguistiche avanzate, un mezzo per ridurre le disuguaglianze di accesso al discorso accademico, una palestra per affinare l’intelligenza metalinguistica. L’IA, in questo senso, non ci priva della voce, ma ci aiuta a renderla udibile. E ci costringe, finalmente, a chiederci chi ha diritto di parlare, e in che lingua vogliamo ascoltare le idee nuove.

sabato 10 maggio 2025

PBL: La Costituzione spiegata dai giovani – Un ponte tra generazioni

 La scuola ha il compito fondamentale di educare alla cittadinanza. Non soltanto di trasmetterne i fondamenti teorici, ma di offrire ai giovani la possibilità di vivere, in forma concreta e partecipata, il significato profondo dell’essere cittadini. Tuttavia, non è semplice trasformare in esperienza viva ciò che spesso viene percepito come distante, astratto, scritto in un linguaggio difficile, come può essere, per molti studenti, il testo della nostra Costituzione.

Da questa consapevolezza nasce il progetto “La Costituzione spiegata dai giovani – Un ponte tra generazioni”, una proposta formativa ispirata alla metodologia del Project Based Learning (PBL), che mette al centro la responsabilità educativa degli studenti, chiamati a diventare protagonisti della trasmissione dei valori costituzionali verso i loro coetanei più giovani.

L’idea prende avvio da un dispositivo narrativo semplice ma efficace: una lettera immaginaria del Presidente della Repubblica, indirizzata agli studenti delle scuole superiori, nella quale si chiede loro di farsi ambasciatori della Costituzione italiana. A partire da questo spunto motivazionale, i ragazzi vengono coinvolti in un percorso articolato che li porta ad analizzare i principi fondamentali della Carta, a reinterpretarli con linguaggi accessibili e creativi (plain language), e infine a presentarli in forma di materiali educativi destinati agli alunni della scuola secondaria di primo grado.

L’intero progetto si sviluppa come una vera e propria esperienza di apprendimento per progetti. Gli studenti assumono un ruolo attivo e responsabilizzante, lavorano in gruppo, selezionano gli articoli su cui concentrarsi, ne analizzano il lessico, il contesto storico e il significato, per poi elaborare prodotti comunicativi efficaci: video, podcast, fumetti, giochi didattici, attività laboratoriali. Ogni gruppo costruisce il proprio messaggio con cura, riflettendo non solo sui contenuti da trasmettere ma anche sul destinatario a cui rivolgersi. L’interrogativo di fondo diventa: come possiamo rendere comprensibili a un pubblico più giovane concetti come uguaglianza, solidarietà, libertà, dignità della persona, lavoro? E ancora: quale linguaggio, quali immagini, quali simboli possono aiutare a veicolare questi valori semplificandoli senza banalizzarli?


L’esperienza si caratterizza per il forte spessore interdisciplinare: sono coinvolte discipline come italiano, educazione civica, storia, scienze umane, tecnologia e arte, ma soprattutto si attivano competenze trasversali legate alla comunicazione efficace, alla collaborazione, alla creatività, alla riflessione metacognitiva. Gli studenti, infatti, sono chiamati non solo a realizzare un prodotto finale, ma anche a ripensare criticamente il proprio percorso: attraverso momenti di confronto collettivo e circle time, riflettono sulle emozioni, le difficoltà affrontate, le conquiste ottenute, le parole che più li hanno rappresentati.

A rendere particolarmente significativa l’esperienza è l’attenzione alla documentazione e alla riflessione metacognitiva. Ogni studente, o gruppo di lavoro, tiene un diario di bordo che accompagna l’intero processo: dalla fase di progettazione all’autovalutazione finale. Questo diario può assumere diverse forme, a seconda delle competenze digitali e delle risorse disponibili. Può essere un semplice documento di testo condiviso, un modulo Google strutturato in tappe, un blog o sito didattico in cui raccogliere pensieri, immagini, bozze, revisioni, oppure un portfolio multimediale costruito progressivamente. L’importante è che si configuri come uno spazio riflessivo, capace di dare valore al processo oltre che al prodotto finale.

                                                  Modello di Diario di bordo da modificare da parte dello studente

Il momento conclusivo del progetto – la presentazione pubblica nelle scuole medie – rappresenta il punto più alto in termini di restituzione e impatto. I gruppi conducono laboratori in prima persona, gestiscono attività interattive, dialogano con gli studenti più giovani, raccogliendone i feedback e confrontandosi con il loro sguardo. In questo scambio si realizza una forma autentica di peer education, che rafforza la consapevolezza del proprio ruolo civico e contribuisce a generare un clima di fiducia tra generazioni vicine per età ma spesso separate nei contesti scolastici.

Uno degli esiti più significativi dell’intero percorso è la creazione di un glossario collettivo della Costituzione raccontata dai giovani: ogni gruppo contribuisce con alcune parole chiave, scelte a partire dagli articoli analizzati, e ne propone definizioni personali, esempi concreti e rappresentazioni visive. Questo prodotto, che può essere impaginato in formato digitale o cartaceo, assume valore non solo come strumento didattico, ma anche come documento testimoniale di un’educazione alla cittadinanza fondata sul coinvolgimento, sull’elaborazione personale e sull’esercizio della responsabilità.

Il progetto si dimostra particolarmente efficace perché riesce a tenere insieme motivazione e rigore, creatività e precisione, impegno e riflessione. Gli studenti non “studiano” semplicemente la Costituzione: la incontrano, la reinterpretano, la mettono in gioco. E nel farlo, scoprono che essere cittadini non significa solo conoscere delle norme, ma partecipare attivamente alla vita collettiva, contribuire con la propria voce alla costruzione di una società più consapevole, giusta, solidale.

Il valore aggiunto di questa proposta risiede nella sua forte adattabilità. Pur centrato sull’educazione civica e sulla Costituzione, il modello progettuale è facilmente trasferibile ad altre discipline e contenuti. Lo stesso schema – lettura e selezione di fonti significative, rielaborazione creativa, produzione comunicativa per un pubblico reale, documentazione del processo, presentazione pubblica – può essere applicato, ad esempio, in letteratura (immaginare un’intervista impossibile a un autore), in scienze (progettare una campagna di sensibilizzazione ambientale), in storia (realizzare una mostra virtuale su un evento del Novecento), o ancora in educazione alla cittadinanza digitale (creare materiali per un uso consapevole della rete). Si tratta, in sostanza, di un modello didattico che valorizza l’autonomia e il protagonismo degli studenti, fondato su una visione dell’apprendimento come costruzione condivisa di significato.

In tempi in cui si avverte con urgenza il bisogno di rafforzare il senso civico e la partecipazione democratica, esperienze come questa mostrano quanto la scuola possa essere luogo vivo di educazione alla cittadinanza. Non servono lezioni frontali o schede di verifica: basta una sfida autentica, un compito significativo e la fiducia negli studenti come costruttori di significato. Perché, come ricorda la Costituzione stessa, “la sovranità appartiene al popolo” – e questo popolo inizia dai banchi di scuola.









venerdì 2 maggio 2025

Nuove competenze per il docente nella scuola che cambia

 Negli ultimi anni si è parlato molto della trasformazione del ruolo del Docente Progettista, ma per il mondo della scuola questa riflessione si traduce in una domanda ancora più urgente e complessa: come deve evolvere oggi la figura del docente, chiamato a operare in un contesto educativo completamente mutato, accelerato dalla rivoluzione digitale, dall’intelligenza artificiale e da una visione dell’apprendimento sempre più centrata sulle competenze?

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non siamo di fronte alla scomparsa del ruolo dell’insegnante come progettista della didattica, bensì a una sua evoluzione profonda. L’emergere di nuovi strumenti non riduce l'importanza del docente, ma ne ridefinisce le responsabilità, lo obbliga a una rinnovata consapevolezza pedagogica, e lo spinge a sviluppare nuove competenze, più strategiche, riflessive e integrate.

Oggi attività che fino a poco tempo fa richiedevano ore o giorni – come la produzione di materiali, la stesura di esercizi, la progettazione di una verifica – possono essere affidate in prima battuta a strumenti basati sull’intelligenza artificiale. Questo, però, non elimina il valore della progettazione didattica: lo sposta. Non è più il “fare” a costituire il cuore del mestiere, ma il “pensare” il fare. Il docente è chiamato a porsi domande più profonde: Perché propongo questo? Che tipo di apprendimento genera? Come lo osservo? Come lo valuto? L’attenzione si sposta dalla produzione all’intenzionalità, dalla quantità alla qualità, dalla lezione al processo.

In questo scenario emerge la necessità di ripensare radicalmente anche la valutazione. Verifica e valutazione non possono più essere considerate momenti conclusivi, “a valle” della didattica. Devono diventare parte integrante e significativa del percorso formativo. Serve immaginare prove che permettano agli studenti di agire le competenze, di affrontare situazioni autentiche, di elaborare soluzioni, di riflettere sul proprio apprendimento. Il docente, in questo contesto, deve acquisire strumenti per progettare compiti significativi, leggere le evidenze di apprendimento, costruire rubriche valutative trasparenti. In altre parole, deve diventare un valutatore delle competenze, capace di raccogliere dati qualitativi e quantitativi, interpretarli in ottica formativa e usarli per orientare le proprie scelte didattiche.

Parallelamente, l’abbondanza di contenuti generati con l’aiuto dell’intelligenza artificiale pone una questione fondamentale: quella della qualità e dell’etica dell’apprendimento. Chi garantisce che ciò che viene proposto agli studenti sia solido dal punto di vista pedagogico? Chi verifica che sia rispettoso della diversità, conforme alle normative, privo di stereotipi e accessibile a tutti? Serve allora che il docente sviluppi una nuova competenza critica, diventando una sorta di “custode della qualità formativa”. Questo significa saper leggere contenuti con occhio professionale, riconoscere bias impliciti, valutare l’efficacia delle proposte didattiche e intervenire per adattarle, arricchirle, migliorarle. Significa anche avere una chiara consapevolezza delle implicazioni normative: dalla protezione dei dati personali (soprattutto degli studenti più fragili) alle regole sulla proprietà intellettuale, fino alle questioni legate all’inclusione e all’accessibilità.

Un ulteriore cambiamento riguarda il modo stesso in cui l’apprendimento viene fruito. Le nuove generazioni di studenti sono immerse in ambienti digitali dinamici, interattivi e spesso molto più coinvolgenti della lezione frontale. Non si aspettano più che la scuola sia un luogo separato in cui si riceve conoscenza, ma che sia un contesto in cui si esplora, si costruisce, si crea valore in modo partecipativo. In questa prospettiva, il docente è chiamato a diventare progettista di esperienze di apprendimento: ambienti in cui la conoscenza prende vita attraverso attività collaborative, percorsi personalizzati, tecnologie significative e una progettazione centrata sull’esperienza dell’alunno. Serve dunque familiarità con i principi del design didattico, ma anche attenzione all’usabilità, alla fruibilità dei contenuti, alla motivazione. In altre parole, il docente deve imparare a pensare “come uno studente digitale”, costruendo percorsi che siano accessibili, coinvolgenti e rilevanti.

Non possiamo, poi, non riflettere sul ruolo dell’innovazione all’interno della scuola. L’introduzione della figura dell’animatore digitale aveva, almeno nelle intenzioni iniziali, l’obiettivo di promuovere una trasformazione profonda del modo di insegnare e apprendere. In molti casi, però, questo ruolo si è ridotto a un insieme di compiti tecnici o amministrativi, slegati da una visione pedagogica. Più che una figura singola, ciò di cui le scuole hanno realmente bisogno è un team per l’innovazione, formato da docenti progettisti con competenze complementari – pedagogiche, tecnologiche, valutative, relazionali – capaci di agire come motore culturale per l’intero collegio. Un gruppo che sappia promuovere pratiche condivise, accompagnare i colleghi nella sperimentazione, facilitare la riflessione didattica e tradurre l’innovazione in azione quotidiana. Un collettivo che lavori in ottica di miglioramento continuo, non sulla base di progetti estemporanei, ma di una visione condivisa e sostenibile della scuola che vogliamo costruire.

Appare chiaro che il futuro della scuola non è nelle tecnologie in sé, ma nella capacità dei docenti di appropriarsene in modo critico e creativo. Il Docente Progettista non è una figura del futuro, ma una necessità del presente: un professionista consapevole, competente, aperto al cambiamento, capace di coniugare rigore pedagogico e sensibilità innovativa. È da questa figura – o, meglio, da una comunità di figure così – che può ripartire un’idea di scuola viva, capace di rispondere alle sfide di oggi e di preparare i cittadini di domani.