Tutto è iniziato con un semplice click. Era un martedì pomeriggio qualunque quando ho ricevuto una newsletter da una piattaforma educational che non avevo mai utilizzato. Anzi, non ero nemmeno registrata. Il titolo prometteva "Certificazione gratuita disponibile solo per oggi!" e, quasi per curiosità, ho cliccato il link. Mi sono ritrovata catapultata direttamente nella sezione certificazioni di uno strumento di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza fino a quel momento. Quindici minuti dopo avevo in mano un certificato digitale che attestava la mia competenza in uno strumento che non avevo mai utilizzato, su una piattaforma a cui non ero nemmeno iscritta. L'assurdità della situazione mi ha colpita immediatamente: avevo appena ottenuto una "certificazione" per qualcosa che, con ogni probabilità, non avrei mai utilizzato nella mia pratica didattica quotidiana.
Questa esperienza, paradossale quanto illuminante, mi ha spinta a riflettere più profondamente su un fenomeno che caratterizza sempre più il panorama educativo contemporaneo: la proliferazione di certificazioni digitali spesso disconnesse dalla reale necessità formativa e dal contesto applicativo. La mia esperienza con quella certificazione "lampo" è emblematica di un fenomeno più ampio: molti docenti e formatori si trovano oggi in una corsa frenetica verso l'accumulo di certificazioni digitali, spesso spinti più dall'opportunità del momento che da una reale necessità didattica. Quel certificato ottenuto quasi per caso è ancora lì, nel mio portfolio digitale, a ricordarmi quanto sia facile cadere nella trappola della "gamification" della formazione professionale.
Questa dinamica genera quello che potremmo definire il "paradosso della certificazione fine a se stessa": si fa in modo di ottenere un attestato su uno strumento che, nella pratica quotidiana, potrebbe rivelarsi inadeguato o addirittura controproducente per i propri obiettivi educativi. La facilità con cui ho ottenuto quella certificazione, senza nemmeno conoscere lo strumento, evidenzia quanto il sistema attuale privilegi la quantità sulla qualità, l'accumulo sulla competenza reale. La questione centrale non è se le certificazioni abbiano valore - ne hanno sicuramente quando sono pertinenti e applicate - ma piuttosto se il tempo e l'energia investiti in esse siano giustificati dai benefici reali che apportano alla pratica didattica. Troppo spesso assistiamo a situazioni in cui educatori altamente certificati utilizzano nella quotidianità strumenti completamente diversi da quelli su cui hanno ottenuto attestati, evidenziando un disallineamento tra formazione teorica e applicazione pratica.
Il framework DigCompEdu, nella sua Area 1, dedicata allo sviluppo professionale, stabilisce un principio fondamentale spesso trascurato: la formazione digitale deve essere mirata e strategica, non dispersiva. Prima di intraprendere qualsiasi percorso formativo, è essenziale condurre un'autovalutazione onesta delle proprie competenze digitali per identificare con precisione le aree in cui si è effettivamente deficitari. Strumenti come SELFIE for Teachers, sviluppato dalla Commissione Europea, offrono proprio questa possibilità: permettono di mappare con precisione il proprio livello di competenza digitale secondo il framework DigCompEdu, evidenziando specificamente le aree che richiedono sviluppo. Questo approccio sistematico previene la dispersione di energie in mille direzioni diverse, orientando gli sforzi formativi verso obiettivi concreti e misurabili.
Una valutazione critica efficace deve considerare diversi aspetti che spaziano dall'analisi del gap competenziale all'analisi del contesto didattico e dei costi-benefici. Utilizzando strumenti di autovalutazione come SELFIE for Teachers, è possibile identificare con precisione le aree del DigCompEdu in cui si presenta un deficit reale. Questo approccio evidence-based evita investimenti formativi casuali o guidati da mode del momento, mentre ogni ambiente educativo ha specificità uniche che richiedono strumenti digitali adattati al contesto, non viceversa. Le esigenze di una scuola primaria differiscono sostanzialmente da quelle di un corso liceale o professionale. Inoltre, il tempo dedicato alla certificazione su uno strumento specifico potrebbe essere investito più proficuamente nello sviluppo di competenze trasversali o nella sperimentazione diretta di approcci didattici innovativi.
In un'epoca caratterizzata da un'accelerazione esponenziale dell'innovazione tecnologica, particolarmente evidente nel campo dell'intelligenza artificiale, la capacità di filtrare e selezionare gli input diventa una competenza cruciale. Ogni giorno siamo bombardati da notizie su nuovi strumenti, aggiornamenti, metodologie rivoluzionarie che promettono di trasformare radicalmente la nostra pratica educativa. Questa sovrabbondanza informativa genera quello che gli psicologi cognitivi definiscono "paralisi da analisi": di fronte a troppe opzioni, si finisce per non scegliere affatto o per fare scelte affrettate e poco ponderate. La soluzione non è chiudersi alle novità, ma sviluppare un approccio sistematico alla selezione degli input.
Il framework europeo DigCompEdu offre una guida preziosa in questo processo di selezione critica. L'Area 2 del framework, dedicata alle "Risorse Digitali", non si limita a suggerire di conoscere strumenti da padroneggiare, ma fornisce un approccio metodologico per la selezione, creazione e gestione di risorse grazie a quegli strumenti. Questa prospettiva è particolarmente illuminante perché sposta l'attenzione dalla mera conoscenza tecnica alla capacità di valutazione critica e di uso strategico delle risorse digitali. La pertinenza pedagogica rappresenta il primo criterio fondamentale: un strumento digitale dovrebbe sempre essere valutato in base alla sua capacità di migliorare l'apprendimento degli studenti, non per la sua sofisticazione tecnologica. La domanda chiave è: "Questo strumento facilita il raggiungimento degli obiettivi didattici che mi sono prefissato?"
La sostenibilità temporale costituisce un secondo criterio essenziale: in un contesto di rapida evoluzione tecnologica, è importante considerare la longevità degli strumenti su cui si investe tempo formativo, fossero anche quindici minuti. Puntare su competenze trasversali piuttosto che su piattaforme specifiche può risultare più strategico nel lungo periodo. La curva di apprendimento rappresenta un ulteriore fattore da considerare: il tempo necessario per padroneggiare un nuovo strumento deve essere proporzionato ai benefici che se ne traggono. Non sempre lo strumento più avanzato è quello più efficace per i propri scopi. Infine, l'integrazione con l'ecosistema esistente è fondamentale: ogni educatore opera all'interno di un ecosistema digitale già strutturato. Nuovi strumenti dovrebbero integrarsi armoniosamente con quelli esistenti, non sostituirli completamente senza giustificazioni solide.
L'avvento dell'intelligenza artificiale nel campo educativo rappresenta un caso paradigmatico di come la pressione verso la certificazione possa portare a scelte poco ponderate. Ogni settimana emergono nuovi strumenti AI per l'educazione, ciascuno accompagnato da corsi di formazione e certificazioni specifiche. Tuttavia molti di questi strumenti sono ancora in fase sperimentale, con funzionalità che cambiano rapidamente e affidabilità variabile. Investire tempo significativo nella certificazione su uno strumento AI specifico potrebbe risultare controproducente se quello strumento diventa obsoleto in pochi mesi. Più produttivo potrebbe essere sviluppare una comprensione generale dei principi dell'AI applicata all'educazione, delle sue potenzialità e dei suoi limiti, mantenendo al contempo un approccio flessibile e sperimentale nell'utilizzo di strumenti specifici.
La soluzione non è rinunciare alla formazione continua, ma adottare un approccio più strategico e consapevole che si allinei con i principi delle Aree 1 e 2 del DigCompEdu.
Questo significa privilegiare la sperimentazione diretta, poiché spesso è più efficace dedicare del tempo alla sperimentazione diretta di uno strumento piuttosto che seguire un corso formale. La pratica guidata dall'esperienza reale può fornire insight più preziosi di qualsiasi certificazione teorica. Significa anche investire in competenze meta-cognitive: sviluppare la capacità di valutare criticamente nuovi strumenti e metodologie è più importante che accumulare certificazioni specifiche. Questa competenza trasversale rimane valida indipendentemente dall'evoluzione tecnologica. Infine, significa creare comunità di pratica: condividere esperienze e riflessioni con colleghi che affrontano sfide simili può essere più formativo di molti corsi individuali. Le comunità di pratica permettono di testare idee, condividere fallimenti e successi, e sviluppare una comprensione più profonda delle potenzialità reali degli strumenti digitali.
In un mondo che ci spinge verso un consumo vorace di novità tecnologiche, la vera competenza professionale consiste nella capacità di dire "no" alle sollecitazioni non pertinenti e di dire "sì" in modo consapevole e strategico. Quella certificazione ottenuta quasi per caso continua a essere un promemoria prezioso: non del valore dello strumento certificato, ma dell'importanza di sviluppare filtri critici più efficaci. La formazione continua rimane essenziale, ma deve essere guidata da principi chiari: pertinenza, sostenibilità, integrazione e impatto reale sull'apprendimento. Si tratta di sviluppare quella saggezza digitale che ci permette di navigare con consapevolezza nell'oceano delle possibilità tecnologiche, scegliendo con cura quali onde cavalcare e quali lasciar passare.
L'utilizzo di strumenti di mappatura competenziale richiede di condurre regolarmente, almeno una volta all'anno, un'autovalutazione strutturata utilizzando SELFIE for Teachers o strumenti similari. È essenziale basare le scelte formative sui risultati di questa mappatura, concentrando gli sforzi sulle aree che mostrano deficit reali piuttosto che seguire tendenze o opportunità casuali.
La vera rivoluzione digitale nell'educazione non avverrà attraverso l'accumulo di certificazioni, ma attraverso lo sviluppo di quella saggezza professionale che ci permette di distinguere l'innovazione autentica dal rumore di fondo. In un'epoca di accelerazione tecnologica, la competenza più preziosa potrebbe essere proprio quella di saper rallentare, riflettere e scegliere con cura.
In ultima analisi, la migliore certificazione è quella che deriva dall'esperienza diretta, dalla riflessione critica e dalla capacità di adattare strumenti e metodologie alle esigenze reali dei nostri studenti. Solo così la tecnologia può diventare davvero al servizio dell'educazione, e non viceversa.
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